Archeologia a Monti ’e Prama trovati i resti di un altro gigante

09.07.2014 17:25

CABRAS. Non sbagliava il georadar. Sotto la terra del Sinis ci sono altre meraviglie. Le si può chiamare strabilianti, senza per questo esagerare. Dopo giorni che gli archeologi scavavano senza troppi frutti, nei giorni scorsi qualcosa di grandioso è venuto fuori dalle zolle di Monti ’e Prama, la stessa zona dove nel 1974 alcuni agricoltori ritrovarono le famosissime statue nuragiche risalenti a diversi secoli prima della nascita di Cristo. Questa volta non ci si è trovati di fronte al solito reperto, di quelli che fanno emozionare gli specialisti perché hanno un altissimo valore per gli studiosi, ma lasciano indifferenti i non addetti ai lavori. Era qualcosa di molto di più, perché, anche se si tratta di parti di reperti rovinate dal tempo e probabilmente dal passaggio degli aratri dei contadini, sono elementi di un tutto molto più grande e magari ricomponibile con molta pazienza e anche un pizzico di buona sorte.Il ritrovamento. Dal sottosuolo del Sinis, dopo millenni di buio, hanno rivisto la luce dei piedi, altre parti di una statua dalle effigi umane e un piedistallo. Sono appunto parti o frammenti di una scultura di dimensioni notevoli, fatto che lascia presagire che l’ultimissima scoperta degli archeologi, agli ordini della Sovrintendenza e del professor Raimondo Zucca che coordina gli esperti dell’università oristanese, sia un altro gigante. La prudenza regna nel mondo scientifico, ma sulla base dell’esperienza passata e di ciò di cui i musei sardi sono già in possesso si possono azzardare ipotesi molto vicine al vero e così è assai probabile che il numero della statue ritrovate a Mont’e Prama debba essere modificato, aggiungendo quella appena venuta alla luce. E c’è da giurare che non sarà l’ultima.

Il 17. Sinora erano stati ritrovati 15 teste, 27 busti, 176 frammenti di braccia, 143 frammenti di gambe, 784 frammenti di scudo. Era stato così possibile ricomporre ben sedici statue dei guerrieri di Monti ’e Prama, di cui undici sono custodite nell’esposizione cagliaritana e cinque al museo civico di Cabras, dopo il restauro effettuato al centro di Li Punti negli ultimi anni, quando furono ripescate dai sotterranei cagliaritani della Soprintendenza. Questi sarebbero numeri già di per sè notevoli; testimonianza dell’importanza unica del sito archeologico, ma sono solo numeri parziali che la campagna di scavi stravolgerà.

Il tesoro. Prima di trasferire le forze sul campo, gli archeologi, attraverso il dipartimento di Geofisica applicata della facoltà di Ingegneria dell’università di Cagliari, hanno in mano quella che in un caso poliziesco potrebbe essere definita la pistola fumante, ovvero la prova che in tutti quei chilometri quadrati, che per più di due millenni hanno visto crescere il grano celando i veri tesori del Sinis, c’è qualche cosa di straordinario; qualcosa che a scavo ultimato l’intero Mediterraneo invidierà alla Sardegna. Ad anticipare i lavori di queste settimane, c’erano state le ricerche portate avanti con il georadar di Gaetano Ranieri, professore ordinario di Geofisica all’ateneo cagliaritano. Attraverso lo strumento all’avanguardia, che l’università cagliaritana è l’unica al mondo a possedere, chi ora deve smuovere la terra per riportare alla luce le meraviglie del Sinis ha già un quadro d’insieme di quello che il sottosuolo ha custodito per millenni, nonostante il tempo, gli aratri e gli immancabili e odiosi tombaroli – a tal proposito la zona viene vigilata anche di notte attraverso pattugliamenti continui dei carabinieri e della forestale –.

Il georadar. Considerando questo primo risultato, nessuno oserà negare credito assoluto al georadar che già in altri scavi come quello di Santa Maria di Neapolis nel territorio di Guspini aveva indirizzato in maniera impeccabile gli archeologi preceduti dalla “radiografia” completa del sottosuolo. La zona scandagliata nasconde una collina di tesori, probabilmente il “santuario dei santuari”, ma non soltanto in riferimento alla Sardegna bensì ad un’area sicuramente vasta quanto gran parte del mar Mediterraneo. C’è chi giura che quando tutto verrà alla luce ci sarà ben poco da invidiare a molti siti archeologici di Grecia, Egitto e Medioriente. Il macchinario coi suoi sedici georadar, posizionati a distanza di dodici centimetri l’uno dall’altro trascinati da una macchina, aveva permesso di individuare 57mila anomalie. Per anomalie si intendono elementi del sottosuolo non compatibili per forma e dimensioni con la normale conformazione geologica del terreno. È quindi qualcosa di umano e non di naturale. Qualcosa che la mano dell’uomo, all’epoca sapiente quanto poche o più di tutte le altre mani del Mediterraneo di tremila anni fa, ha forgiato. Pietra dopo pietra, masso dopo masso, statua dopo statua, sino a costruire, prima di tanti altri popoli, la più grande metropoli dell’epoca.

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