Il sughero e l'arte di saper aspettare

18.11.2014 18:15

Il ritorno del sughero, vero materiale del futuro

Se pensavate che il sughero fosse ormai destinato a scomparire, vi sbagliavate. Tornato in auge dopo una temporanea infatuazione dei produttori vinicoli per i tappi di plastica, questo affascinante materiale, del tutto naturale e completamente riciclabile, dopo secoli che se ne fa uso è destinato a vivere il suo momento di gloria solamente nei prossimi decenni. Dal sughero, infatti, non si ricavano solo tappi per bottiglie, ma anche materiali per la bioedilizia, pavimenti, tessuti e addirittura componenti per l’aeronautica spaziale, capaci di sopportare temperature che raggiungono i duemila gradi centigradi. Una buona notizia, quella del ritorno del sughero, per molteplici motivi. La produzione e l’utilizzo di questo elemento hanno infatti buone ripercussioni su vari campi, in particolare quello ambientale e quello socio-occupazionale. Vediamo insieme perché.

L’importanza ambientale delle sugherete

Le foreste di sughero, la cui esistenza in questi ultimi anni sembrava compromessa, sono uno dei più importanti fattori di contrasto della desertificazione in nord Africa e nel sud d’Europa. Il sughero, infatti, è prodotto in Paesi minacciati dall’avanzata del deserto: Italia (il 90% è in Sardegna), Francia, Algeria, Marocco e Spagna. Ma soprattutto in Portogallo, dove è concentrato il 52% della produzione mondiale.

La quercia da sughero è una delle poche piante in grado di sopravvivere in suoli poveri e zone siccitose, ma fra gli aspetti che la legano alla salvaguardia ambientale, ce ne sono altri due di particolare rilievo. Il primo è che le sugherete sono dei veri e propri santuari per molte specie animali; il secondo, che questi alberi possiedono una notevole capacità di assorbire anidride carbonica. Si calcola infatti che solo le foreste di querce da sughero del Mediterraneo, sviluppate in un’area di 2,2 milioni di ettari, sono capaci di assorbire oltre 14 milioni di tonnellate di CO2 ogni anno.

Pianta sempreverde che vive in media 200 anni (ma può arrivare fino a 400), la Quercus suber ha una grande capacità di rigenerare la sua corteccia, fatta appunto del materiale che conosciamo: durante il suo plurisecolare ciclo di vita, questa si rigenera infatti fino a 16 volte. Il processo attraverso cui la corteccia viene staccata dall’albero si chiama decortica: un’arte che non solo fa bene all’ambiente, mantenendo vive e in salute queste utili foreste, ma che ha anche importanti risvolti sociali. Alcune fra le aree più depresse del Mediterraneo, infatti, si possono auto-sostentare economicamente proprio grazie ad essa e alle fasi di lavorazione che la seguono.

La decortica: una “carezza” secolare

La decortica è la separazione della corteccia di sughero dal tronco della quercia, e può essere praticata da maggio ad agosto: nei periodi primaverile ed estivo, infatti, la linfa si posiziona tra il fusto della pianta e la corteccia stessa, permettendo di toglierla facilmente. Processo particolarmente rispettoso della pianta, che vede l’uso di una apposita accetta che, quando usata, non va nemmeno a toccare il fusto, la decortica evita il taglio dell’albero, ma può essere praticata solamente da mani esperte. Il lavoro è infatti riservato a quei pochi che hanno le competenze per un’operazione semplice solo all’apparenza. Del resto, se le persone impiegate per questa funzione sono le meglio pagate al mondo nel settore agricolo (ricevendo in Portogallo anche più di cento euro all’ora), un motivo ci sarà.

Prima di “spogliare” l’albero, però, c’è bisogno di aspettare un bel po’. Il suo tronco è infatti pronto per la decortica solo una volta raggiunte una circonferenza di 70 cm e un’altezza di 1,3 metri. Tradotto in tempo, dalla semina/piantumazione alla prima decortica trascorrono dai 25 ai 35 anni. Dopo questo periodo, si ottiene il primo sughero, detto “vergine”, che è utilizzabile solamente per la realizzazione di articoli decorativi e prodotti granulati. Si devono poi attendere altri 9 anni prima della seconda decortica, e ancora 9 prima che il sughero possa dare il meglio di sé, permettendo ad esempio di estrarre tappi interi dalla corteccia. Facendo due conti, dunque, per avere un sughero di qualità si devono attendere come minimo 43 anni: decisamente un settore in cui la lentezza e l’arte del sapere aspettare sono una priorità.

I risvolti occupazionali

Come accennato, la produzione di sughero ha importanti effetti anche sul tessuto sociale in cui si trovano le foreste e le aziende che lo lavorano. La decortica è una singola parte della filiera di questo affascinante materiale. Vi sono infatti le varie fasi della sua lavorazione, le notevoli menti (e somme) investite nella ricerca, lo sviluppo di nuove ed efficienti tecnologie, ma anche una miriade di attività artigianali legate all’uso del sughero nell’oggettistica, nella bioedilizia, nella moda o nell’artigianato.

Il caso più eclatante di impatto positivo a livello occupazionale è ovviamente quello del Portogallo, dove, secondo i dati del Bollettino mensile della attività economiche, gli impiegati nel settore superano le dodicimila unità. Le attività di trasformazione del sughero spaziano ormai dalla produzione di tappi a quella di materiali per l’edilizia (comprese vere e proprie alternative ai meno isolanti e meno anti-sismici legno e cemento), dalle calzature alle guarnizioni per motori, fino allo sviluppo di materiali destinati al settore aerospaziale, dove le caratteristiche ignifughe, impermeabili ed antivibrazione del sughero, unite alla sua leggerezza, ne fanno ormai un componente di prima scelta.

Un elemento riciclabile al 100%: l’esempio di Amorim & Irmaos

Uno degli aspetti più interessanti dell’eco-sostenibilità del sughero è che non se ne butta via nulla. Gli scarti di ogni fase della sua lavorazione, infatti, possono essere riutilizzati per farne truciolato che, a sua volta, finirà in pavimenti o coibentazioni. Quando avete anche un singolo tappo, quindi, non buttatelo nella spazzatura: potrebbe tornare utile in diversi modi. L’azienda leader del settore è la portoghese Amorim & Irmaos di Santa Maria de Lamas, vicino a Porto. Fondata nel 1870 e ancora a conduzione strettamente familiare, questa società non è solo l’artefice di strutture come il pavimento in sughero della Sagrada Familia di Barcellona o di quello dei nuovi treni metropolitani di Berlino, ma è anche la prima al mondo ad avere organizzato il recupero degli scarti di produzione. Nel 2008, infatti, Amorim ha inaugurato la prima azienda del mondo per il riciclo dei tappi.

Un impegno, quello del gruppo portoghese, che lo ha portato a sviluppare tecniche per il riutilizzo degli scarti di lavorazione che arrivano a sfruttare addirittura la polvere di sughero che si accumula nei suoi stabilimenti durante la lavorazione della corteccia. Questa, recuperata e usata come materiale da combustione, permette di ricavare l’elettricità necessaria a soddisfare il 90% del fabbisogno energetico degli impianti produttivi dell’azienda.

Per Carlos Santos, amministratore delegato di Amorim Cork Italia, il sughero non solo rappresenta il futuro, ma anche “il connubio perfetto tra uomo e natura”. Difficile dargli torto, vista la varietà di usi che se ne possono fare, e soprattutto le garanzie in termini di sostenibilità che, invece, i materiali sintetici di origine petrolchimica non sono mai stati in grado di raggiungere. Nonostante gli enormi investimenti in termini economici ed ambientali ricevuti negli scorsi decenni, dominati dalla frenesia e dal distacco da tutto quel che di buono la natura ci ha dato in dote.

@AndreaBertaglio

Fonte: Aam Terra Nuova

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